Umiltà è sentirsi pervadere da un’ammirazione sconfinata per ciò che è grandioso e immenso, non solo per quantità ma anche per qualità. Il Mahabharata possiede queste caratteristiche.
Krishna ci spiega nella Bhagavad-gita (IV.34), che tre sono i parametri per un’acquisizione autentica della conoscenza: un’attitudine umile, uno spirito inquisitivo e la disposizione al servizio, verso colui da quale desideriamo ricevere insegnamenti. È in questo modo che dovremmo cercare di rapportarci a quest’opera grandiosa che custodisce tutti i segreti dell’esistenza.
Essere umili significa dunque aprirsi ad un ascolto attento e attivo, che faccia risuonare dentro di noi le corde che queste antiche narrazioni fanno vibrare. Dalla ricerca di un rapporto empatico con ciò che ascoltiamo, deriva la produzione d’immagini da parte nostra, che diano vita e vivacità ai protagonisti e alle vicende. La visualizzazione, cui siamo invitati da questo lavoro di Marco Ferrini, ci accosta alla natura prettamente onirica della narrazione mahabharatiana che, con la straordinaria pedagogia dei sogni, ci insegna a tener testa costruttivamente a qualsiasi evento la vita possa riservarci, da quelli più drammatici a quelli più piacevoli.
Il Mahabharata è strumento eterno che può permetterci, anche oggi, di rinverdire i valori imperituri dell’etica universale (il dharma), e di farci portavoce di un nuovo, auspicabile Rinascimento.
Lettura e commento di Adi Parva (Il Libro delle Origini) cap. 154-204